Attraverso dialoghi e descrizioni raggiungete i due scopi fondamentali del testo: dare informazioni sui personaggi e mandare avanti la storia.
Due personaggi parlano, dal loro dialogo devono emergere delle informazioni per lo spettatore o il lettore. Ma i personaggi parlano tra loro, non con una presenza invisibile. Si scambiano informazioni tra loro. Dunque il dialogo deve essere coerente con i personaggi, con la relazione che li lega, con la loro storia.
Avete una madre, Carla, e un figlio, Piero, che si sono trasferiti a Milano dopo la morte del papà Guido. Volete dare queste informazioni al lettore. Ci sono molti modi per farlo, ma il più sbagliato sarebbe qualcosa di questo genere:
Piero (Entrando in casa): Mamma Carla! Nei 10 anni che abbiamo passato a Milano da che papà Guido è morto, non avevo mai visto uno spettacolo del genere!
E’ ridicolo, no? “Mamma Carla”? Ma quale adolescente moderno si rivolge così a sua madre? “Nei 10 che abbiamo passato…” E’ evidente che questa battuta è finta, artificiale, sforzata, messa lì apposta per dare al lettore delle informazioni. La gente non parla così, voi non parlate così, le persone che conoscete non parlano così. Il dialogo deve essere naturale, questa battuta non lo è.
Di cosa parlano due personaggi? Ci ricolleghiamo a quanto anticipato sopra: due personaggi, come due persone, parlano dei fatti loro, influenzati dagli eventi che stanno vivendo, senza adattare il loro linguaggio e il loro discorso a un terzo ascoltatore invisibile, lo spettatore/lettore. Però il dialogo deve contenere informazioni per lo spettatore/lettore. E la difficoltà di scrivere buoni dialoghi, in parte, è proprio qui.
Come si risolve questo scoglio? Avendo un’idea di chi sono i nostri personaggi, cosa li spinge, cosa pensano, e della storia, cosa succede, dove stiamo andando.
Negli attuali manuali di sceneggiatura cinematografica si raccomanda di presentare e descrivere il personaggio principale nelle prime dieci pagine della sceneggiatura, il che si traduce all’incirca nei primi dieci minuti di film. Questo è un buon consiglio, anche se esistono validissime eccezioni (vedi Guerre Stellari). Ma attenzione: in questi dieci minuti non c’è bisogno di correre e soprattutto non c’è bisogno di dare proprio tutte le informazioni sul personaggio. Torniamo al nostro amico Piero. La quantità di informazioni che ci dà nella singola battuta scritta sopra sono troppe per una frase sola, ma, allo stesso tempo, sono insufficienti. Quali sono i suoi sentimenti nei confronti della madre? Come si trova a Milano? E’ contento di essersi trasferito? Come vive il fatto di essere un adolescente orfano? Come vedete quella battuta non solo è brutta, è anche inutile, perché alla fine dei conti ci dà una visione superficiale della situazione. Usare un sistema simile per “sbrigare la pratica” del fornire informazioni non funziona. Con un dialogo naturale possiamo diluire le informazioni per tutta la storia, darle quando è più appropriato dal punto di vista drammatico.
Una cosa da evitare è l’infodumping. Con questo termine si indica il dialogo tra personaggi (o i pensieri di un personaggio solo), messi lì esclusivamente per dare informazioni al lettore, spiegare la situazione, ricapitolare gli eventi. Vengono date troppe informazioni, tutte insieme e in modo innaturale e si blocca la storia.
Dovete tornare indietro, ripartire da zero e far accadere nelle prime pagine della vostra storia una serie di eventi che uniti al dialogo appropriato per ciascun evento servano al vostro scopo: fornire informazioni sui personaggi e mandare avanti la storia. E così per le pagine successive e poi ancora e ancora fino alla fine. Quindi, dialogo e eventi della storia devono procedere appaiati, non sono elementi separati, ma legati. Per questo si devono supportare e completare a vicenda. Se ci pensate, è logico. Paolo scopre che Francesca lo tradisce (evento), la confronta (dialogo provocato dall’evento) e lei scappa di casa (evento provocato dal dialogo).
In realtà, come escamotage narrativo l’infodumping può funzionare. Se ricordate i vecchi telefilm di Ellery Queen, prima della conclusione dell’episodio Ellery si rivolgeva direttamente al pubblico, ricapitolando i vari indizi e le varie prove raccolte per permettere agli spettatori di scoprire il colpevole insieme a lui. Questo approccio funziona, ma, come vedete, in questo caso è una scelta stilistica consapevole e una esplicita e dichiarata rottura del flusso storia.
Momenti in cui i personaggi fanno il punto della situazione, anche ripetendo cose che il lettore già sa, possono essere giustificati. Verso la fine di Fight Club il narratore, che abbiamo appena scoperto essere Tyler Durden, spiega a Marla Singer cosa sta succedendo. Noi lettori sappiamo già tutto, ma Marla non sa ancora nulla quindi ha senso che Tyler le riepiloghi la storia e cerchi di giustificare le sue stranezze. Attenzione: non le fa un semplice riassunto della storia, la racconta in modo da giustificare il suo comportamento alla luce delle cose che anche lui ha appena scoperto. Quindi questo dialogo non è un semplice riepilogo di fatti noti, ma fa avanzare la trama.
E questo esempio introduce un altro problema. Quello delle “teste parlanti”, ovvero due personaggi impiegati in lunghi dialoghi espositivi. In realtà è un problema facile da evitare. Per evitare che questi dialoghi siano una noiosa esposizione di fatti, dovete far accadere qualcosa, far fare qualcosa ai personaggi, in modo che oltre al dialogo ci sia qualcos’altro. Nell’esempio tratto da Fight Club, mentre Tyler e Marla parlano ordinano da mangiare, scoprono che il cameriere è un membro del Progetto Mahyem, Tyler chiede che venga servito cibo non alterato.
In Le Ali della Libertà, mentre i personaggi di Tim Robbins e Morgan Freeman si raccontano per quale motivo sono in prigione, il personaggio di Freeman gioca con una palla da baseball.
In Nostra Signora delle Tenebre di Fritz Leiber c’è un lungo dialogo tra due personaggi in cui viene svelato il retroscena della misteriosa vicenda che sta vivendo Frank, il protagonista del romanzo. Il dialogo inizia a pagina 112 nella mia edizione (Classico Urania 308 del novembre 2002) e termina a pagina 171. Sono 59 pagine di infodunping? No, perché da maestro qual era, Leiber in quel dialogo ricostruisce la vicenda raccontando, di fatto, una nuova storia e intramezza il racconto con pensieri, riflessioni e sensazioni di Frank. In quelle 59 pagine Leiber racconta una nuova storia, manda avanti quella principale e ci dice molto, moltissimo sul suo protagonista e sul personaggio con cui lui parla.
Introduciamo un nuovo elemento: il sottotesto. Il sottotesto è un dialogo tra due personaggi che avviene sotto la superficie delle parole.
Un buon esempio di questa tecnica è stato usato in una delle puntate della prima stagione di Star Trek: Enterprise. Hoshi Sato parla con il dottor Plox della condizione di un animaletto che hanno raccolto in una puntata precedente. Lei dice che il povero verme (perché in effetti quello è questo animaletto, un verme) deve sentirsi solo, triste, prigioniero della scatola di vetro in cui lo tengono e che probabilmente è quello il motivo per cui è malato. Plox risponde alle battute di Hoshi dandole ragione. Ma attenzione, ecco il sottotesto: le battute del dottore sono risposte alle battute di Hoshi, ma il senso di quello che dice non è rivolto alla condizione del povero animaletto, ma a quella del suo interlocutore, che, scopriamo nel corso della puntata, non si sente a suo agio sperduta nello spazio, intrappolata in un’astronave diretta chissà dove. Quindi Plox parla dell’animaletto, ma si riferisce a Hoshi.
Il dialogo oltre a dare informazioni, quindi essere utile all’andamento della storia, deve anche essere gradevole all’orecchio. Deve essere ritmato, naturale, scorrevole. E deve essere appropriato ai personaggi, perché, ad esempio, un contadino dell’alto medioevo e un cavaliere parleranno in maniera differente.
Partiamo dall’ultima considerazione: il modo di parlare è parte del personaggio tanto quanto il modo di comportarsi, il modo di vestirsi, il modo di pensare. Per cui anche attraverso il dialogo dobbiamo avere una descrizione della personalità del personaggio. Nelle sceneggiature teatrali e cinematografiche il dialogo, inteso come modo di parlare, parole che vengono utilizzate, tono di voce è uno degli strumenti più importanti per descrivere un personaggio. In una sceneggiatura radiofonica ben fatta, è lo strumento principale.
Come fare a sapere se un dialogo è naturale o no? Scorrevole o no? Descrittivo o no? Leggetelo ad alta voce. Delle buone battute rimbalzano fluide da un personaggio all’altro, ogni battuta costituisce lo spunto di quella seguente, dalle parole abbiamo una descrizione dei personaggi che le pronunciano.
Come in tutti gli aspetti della scrittura, l’osservazione è il modo migliore per farsi un’idea di come deve essere un buon dialogo.
Ascoltatavi mentre parlate con un amico, con un collega, con un estraneo, con un superiore. Ascoltate le persone che avete intorno mentre parlano. Vi rendete conto immediatamente della differenza di tono, di scelta di parole, di costruzione delle frasi.
E, ovviamente, leggete molti libri e guardate molti film e telefilm. Soprattutto per le produzioni televisive, sono stati fatti molti passi avanti nella costruzione dei dialoghi. Come sempre il consiglio è prendere esempio da chi scrive bene. E sperimentare tanto.
Veniamo alle descrizioni.
Le descrizioni sono rivolte al lettore, o immediatamente, come nei racconti, o mediatamente, ovvero tramite l’opera del disegnatore o del regista che traduce in immagini quello che noi descriviamo.
Le descrizioni devono essere chiare. Deve essere chiaro per il lettore quello che state descrivendo e deve esserlo per il professionista chiamato a tradurre in immagini la vostra storia.
Sembra banale, ma è un punto spesso trascurato. Per voi che vedete la storia nella vostra testa è semplice visualizzare luoghi, personaggi, stati d’animo. Ma dovete assicurarvi che sia altrettanto chiaro per chi legge o guarda.
Dialogo e descrizioni sono profondamente legati, si completano a vicenda, non si devono sovrapporre e non si devono contraddire. Se fate dire ad un personaggio che è triste, dovrete anche descrivere le sue azioni in modo che emerga la tristezza. Meglio ancora, evitare di fargli dire che è triste e trasmettete questa informazione attraverso le sue azioni, quindi attraverso le descrizioni. Spesso è possibile rispondere ad una domanda o a una affermazione (dialogo) con un’azione (descrizione). Ad esempio: un personaggio fa un commento pesante su una donna (quindi dice qualcosa, dialogo) e lei come risposta si gira e gli dà uno schiaffo (quindi agisce, descrizione).
Altro esempio: una donna scopre che il marito la tradisce. Lei ha del veleno per topi in casa. Mentre cucina riflette sulla situazione (il pensiero e il soliloquio sono una forma di dialogo), è umiliata, vuole vendicarsi. E mentre prepara il minestrone (mentre compie delle azioni che vanno descritte, magari sottolineando i gesti tesi e nervosi, magari rovescia il sale, si taglia con il coltello) le viene in mente che ha del veleno in casa e che potrebbe usarlo. Dialogo e azione si sposano. La nostra donna non ha bisogno di dirsi mentre riflette che è tesa, umiliata, nervosa. Sono le sue azioni che descrivono il suo stato d’animo. E dalle sue azioni emerge il pensiero di compiere una determinata azione.
Cosa vuol dire che dialogo e azione non si devono sovrapporre? Che non dobbiamo dire due volte la stessa cosa. Se in un fumetto avete un bambino che va al parco e prende un gelato ad un chiosco, è inutile descrivere una vignetta come “Billy entra nel parco” accompagnata dalla didascalia “Quella mattina sono andato al parco”, una vignetta descritta come “Billy compra un gelato al chiosco del parco”, con didascalia “Mi sono comprato un gelato al chiosco di Harry”. Quello che vediamo nelle vignette e quello che leggiamo nelle didascalie è ridondante. Stessa cosa in un racconto. Se passate delle informazioni con un dialogo o una descrizione, è inutile ripeterle nel corso della stessa scena in una descrizione o un dialogo. Intendo qualsiasi informazione, dal colore di un divano al nome dell’assassino.
Mai raccontare quello che potete mostrare. Questo è vero soprattutto per fumetti e cinema, narrazione per immagini. Se dovete raccontare qualcosa accaduto nel passato, usate un flashback e mostrate l’azione, oppure, come visto in Nostra Signora delle Tenebre, raccontate la storia come se fosse la vostra narrazione principale. Se due squadre di agenti di polizia devono seguire due piste diverse e voi volete raccontare soltanto le vicende di un gruppo, non limitatevi a far dire ad uno dei poliziotti che gli altri colleghi sono da un’altra parte a fare un’altra cosa. Mostrate la riunione in cui il sergente forma le squadre e assegna i compiti.
Se un personaggio è nervoso, deve parlare in modo nervoso ed essere descritto in modo che il suo nervosismo sia evidente da come si comporta. Se un personaggio è tranquillo, ma dice di essere nervoso, o si comporta in modo nervoso, mentre dice di essere calmo, c’è contraddizione e questo non va bene – a meno che non lo stiate facendo di proposito, per un preciso scopo narrativo. Immaginate un personaggio che si comporta in maniera nervosa ma, a chi glielo chiede, risponde urlando di essere calmissimo. Oppure, il flashback di una donna che sta venendo interrogata dalla polizia riguardo l’omicidio del marito. La sua voce racconta della sua disperazione nello scoprire il cadavere, ma le immagini la mostrano intenta a parlare con un’amica al telefono, comodamente seduta sul divano, da dietro al quale spuntano le gambe del defunto, mentre giocherella con un candelabro insanguinato. In questo caso gli espedienti narrativi sono giustificati dall’effetto che volete ottenere.
Vi lascio con un po’ di esercizi.
1)Scrivete un breve dialogo in cui due personaggi litigano. Il motivo per cui litigano è una sciocchezza, ma il loro astio reciproco risale a molto tempo prima. Senza fare riferimenti diretti, fate capire per quale motivo stanno litigando ora e qual è l’evento accaduto tempo prima che ha dato il via alla loro inimicizia.
2)Scrivete tre dialoghetti in cui un tipo chiede indicazioni stradali a un altro personaggio. Il tipo deve essere di volta in volta:
a)cordiale
b)antipatico
c)timido
3)Descrivete le azioni e lo stato d’animo di un ragazzo o di una ragazza che si prepara per il primo appuntamento con una nuova fiamma. Dovete far capire dove andranno e qual è il programma della serata senza usare pensieri o soliloqui.
4)Scrivete una scena (dialogo e descrizione) in cui una moglie cerca di calmare il marito nervoso per problemi sul lavoro.
3 commenti
Appunti di Scrittura: i tanti modi di dire "dire"
Ho dato una prima letta al tuo articolo, credo che mi sarà di grande aiuto per una storia che sto scrivendo! Grazie!!!
Ciao.
Mi fa piacere che questo articolo e gli altri della serie siano utili agli scrittori.
Mi farebbe piacere leggere la storia, una volta che l’avrai terminata.